Di digiuno intermittente e di tutto il corredo di miti e leggende che ne arricchiscono la reputazione se n’è parlato a sufficienza, ma non abbastanza. Quando si parla di allenamento, per esempio? È una scelta saggia parlare di digiuno intermittente o meno? In realtà, la risposta è positiva anche nell’ambito della nutrizione sportiva, con tutte le postille e le accortezze del caso.
Martin Berkhan, personal trainer svedese e promulgatore del metodo LeanGains, ha basato i suoi studi proprio su questo argomento, mettendo in evidenza i vantaggi che gli sportivi possono ottenere. Secondo il suo metodo, il consumo di cibo deve essere distribuito in 3 pasti, considerato un digiuno di 16 ore complessive. L’atleta che quel giorno dovrà allenarsi, lo farà subito prima di concedersi il primo pasto della giornata; in questo modo, riuscirà ad assicurarsi un pasto abbondante e iper-proteico dopo l’allenamento. Tra gli alimenti che non dovranno mancare mai, si distinguono – oltre alle proteine – verdura e carboidrati.
Berkhan, inoltre, introduce un argomento essenziale ai fini di un rischio aggirabile quando si parla di digiuno intermittente e allenamento: il catabolismo. La soluzione che suggerisce, in un intervallo di tempo che va dai 5 a i 15 minuti prima dell’allenamento, è l’assunzione degli aminoacidi a catena ramificata, chiamati con la sigla BCAA (Branched-chain amino acids).
Partiamo dal presupposto che, per definizione, gli aminoacidi svolgono funzioni connesse al metabolismo cellulare e risultano essere essenziali ai fini della crescita e dello sviluppo del corpo umano, quindi il loro consumo non si rivelerebbe superfluo. La domanda che sorge spontanea, a questo punto, va a disturbare il dubbio proverbiale di San Tommaso “se non vedo, non credo”. Ebbene, sul fronte delle testimonianze da riportare come riferimento, sono diversi gli atleti che – attraverso il digiuno intermittente – hanno registrato una buona resa con il protocollo 16/8, anche superiore rispetto ad una dieta normale, con una riduzione della massa grassa.
Tra gli esempi più eminenti, relativi alle varie forme di digiuno intermittente, si annovera il protocollo promosso da Asker Jeukendrup, figura di spicco nel vasto ambito della nutrizione sportiva, che spiega l’argomento “train low” basato sulla manipolazione del glicogeno muscolare per migliorare le prestazioni. I modelli proposti sono sei e differiscono in base alle esigenze dell’atleta e ai risultati che vuole raggiungere. Nell’elenco delle proposte, che differiscono in termini di gestione sull’assunzione di carboidrati e sulla rispettiva alterazione delle riserve di glicogeno, si evince quello dell’allenamento dopo il digiuno notturno. Si tratta di un approccio all’attività fisica da effettuare a stomaco vuoto, fattasi eccezione per la pratica comune di bere un caffè non zuccherato un’ora prima di mettersi in moto.
Un approfondimento necessario, per comprendere appieno l’intero processo, va fatto sul trittico che segue: glicogeno, insulina e GH. Nel primo caso, ci si riferisce alla riserva di energia che il corpo immagazzina sia a livello muscolare che epatico. Il glicogeno è, nello specifico, un polisaccaride costituito da molteplici molecole di glucosio. Dunque, il suo scopo, è proprio quello di fornire energia all’organismo. Ecco spiegato il motivo per il quale occorre fare attività fisica in tempi prolungati di almeno 30 minuti, poiché - secondo un iter progressivo - prima si consuma il glucosio nel sangue, poi il glicogeno nei muscoli e solo alla fine i grassi.
Poi, l’insulina è l’ormone che ha la responsabilità di azionare la trasformazione e l’assimilazione degli zuccheri, una funzione chiamata anabolismo. Questa, una volta rilasciata, abbasserà i livelli di glucosio presenti nel sangue tramite la stimolazione dei processi energetici.
Chiude il cerchio l’ormone della crescita, denominato GH. Si tratta di un ormone somatotropo, parte integrante della famiglia di ormoni polipeptidici, che viene rilasciato da una regione del cervello soprannominata adenoipofisi. È composto da una sequenza di 191 amminoacidi che si aggregano in lunghe catene atte a formare le proteine.
L’ormone della crescita risponde alla missione di intervento su recettori cellulari specifici in grado di stimolare la sintesi delle proteine e la lipolisi, ovvero la demolizione dei grassi. In aggiunta, va ad ostacolare l’azione insulinica. Il mezzo migliore per aumentare la secrezione di GH, affinché possa svolgere le sue mansioni in maniera ottimale, è l’esercizio fisico. In particolare, gli allenamenti intensi, che inneggiano alla produzione di acido lattico, ne aumentano la produzione in concomitanza alla pratica del digiuno intermittente.
Il digiuno intermittente, in presenza di una buona riserva di glicogeno muscolare, non causerà il catabolismo tanto temuto. Per garantirsene una buona parte, la costanza nell’allenamento – aggiunta al digiuno – migliorerà la capacità del fegato e dei muscoli nella ricezione del glucosio. Alla fine, tutto il lavoro insulinico ne risentirà in positivo; è piuttosto la sedentarietà a causare l’effetto contrario in assenza di movimento. Se ci si abbandona a pasti abbondanti praticando uno stile di vita pigro e indolente, gli acidi grassi si depositeranno nel tessuto adiposo. Al contrario, la combo digiuno ed esercizio fisico ne favorisce la sintesi.
Inutile dire che il primo impatto con il digiuno intermittente non sarà proprio una passeggiata, anche solo per una questione di abitudine. Eppure, una volta superate le difficoltà iniziali, l’energia che ne deriverà spazzerà via i dubbi più radicati. Le tipologie di allenamento che, in genere, risultano più propense a beneficiare del digiuno intermittente, sono:
Cardio leggeri;
Allenamenti di forza e tecnici;
Hiit veloci;
Mobilità/yoga.
Se hai intenzione di convertirti al digiuno intermittente o già lo pratichi ma non nel migliore dei modi, non dimenticare di ricevere prima le direttive più adeguate adatte alla tua condizione.
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